lunedì 23 marzo 2009

LETTERA IMPOSSIBILE DEL PICCOLO TULLIO.

Cara mamma,
lo so che hai stima di me! Non solo perché faccio quello che vuoi tu. Anzi, sai perché faccio quello che vuoi tu? Sai perché sto attento a spiare che cosa vuoi da me? Sai perché sono felice di farti contenta, anche quando non capisco proprio che cosa ti sei messa in testa? Semplice! Perché sei la mia mamma. Essere preso in braccio mi è sempre piaciuto molto, lo sai. Anche perché tu mi capivi al volo ed eri la mia gru, il mio elicottero, la mia bici, le mie gambe: in braccio a te potevo arrivare a tutto. Se era per me, ti stavo in braccio per sempre.
Ma un giorno tu mi hai messo in piedi davanti a te. E mi hai detto: “Cammina!” e ti sei messa un po’ distante, staccata da me, al punto che le mie braccine tese non potevano raggiungere la punta delle tue dita. Eppure anche tu avevi le braccia spalancate. E ridevi. Di un po’, eri sicura che avrei messo avanti il piedino incerto? …Che non sarei lasciato andare? Eri proprio sicura. Avevi stima di me.
E’ vero, sono caduto spesso, tu lo sai. Ma quando ero a terra disperato e confuso e molto molto arrabbiato, tu sei rimasta tranquilla, non ti sei precipitata su di me urlando “Cosa ti sei fatto?”, rialzandomi spaventata.
Tu mi hai guardato ed hai aspettato che mi rialzassi; appena rimesso in piedi, dopo aver un poco
oscillato sono arrivato io da te e ti ho mostrato il mio piccolo male: tu mi hai impresso un bacio, perché sai che i tuoi baci hanno poteri magici. Se fosse stato per me, dopo quella e dieci e mille cadute io sarei rimasto seduto. Non avrei camminato più. Ogni volta tu hai aspettato che camminassi ancora, come se fosse stato “normale” non farcela, qualche volta.
Qualche volta mi hai detto: “Attento, guarda dove metti i piedi, vedi c’è uno scalino”. Ma in nessuno di questi avvenimenti io ho sentito che non dovevo camminare più, perché era troppo pericoloso. Forse qualche volta ti balzava il cuore, quante volte magari ti sei rimproverata di non aver visto al posto mio gli ostacoli, però mi hai detto che vale sempre la pena ricominciare.
Quando sarò grande, me lo ricorderò, confusamente. Saprò che “stare sulle proprie gambe” non significa non cadere mai. Gli insuccessi, gli smacchi, gli errori fanno parte del mestiere di vivere. Da te ho saputo che vale la pena ricominciare. Anche se l’errore sarà grosso e avrò bisogno di essere consolato. E magari perdonato.
Quando poi ho imparato il gusto di camminare, trotterellare, correre e non solo per venire da te (poiché tu me lo hai insegnato per me, per esplorare il mondo) allora –dico- sono fioccati i tuoi no e quelli di papà. Un tuo no mi lascia molto perplesso, lì per lì: perché arriva giusto quando sto facendo la cosa più curiosa e più divertente: raggiungere in giardino un bruco, …. tirare la tovaglia, ….. : “No –dici tu- no e poi no”.
Sulle prime, è un po’ difficile adeguarmi ai tuoi no, qualche volta di distruggerei perfino, come faccio con i miei giocattoli. Poi un po’ per volta ho imparato. Ho anch’io i miei trucchi.
Ogni tanto mi giro un poco e ti guardo: se tu mi dici di sì con lo sguardo, io capisco che non c’è nessun pericolo per me. Com’è affascinante il mondo per me, mamma. Anche per te? Non ti sento mai in ansia.
E allora sono libero. Pensa ho dieci, venti metri a mia disposizione: i tuoi no non mi hanno fatto imparare che lì, dentro il tuo permesso, sono libero. Se sono incerto, mi basta guardarti: se mi dici di no, io so che c’è in agguato un pericolo. Quei fuochi pallidi vicini vicini mi mandano un calore simile a una carezza mi attirano molto, sai. Ma se tu mi dici “no, non toccarli” io mi fido. I tuoi no sono come una grande cornice, dentro ci posso disegnare il quadro come voglio. Ma se non c’è la cornice, come faccio a sapere dove disegnare; o meglio, come faccio a sapere che è possibile disegnare, tracciare le linee mie, i miei bellissimi scarabocchi?
Allora ti porto i miei disegni con fierezza: sono stato proprio io.
Allora sento che tu sei fiera di te stessa, perché io sono fiero di me. E papà e fiero di te e di me. Anche lui dice i no. Non per sgridarmi. Fra poco, imparerò anch’io l’ebbrezza di dire dei no. E’ da qui che imparerò che “i grandi” i primi no hanno saputo dirli a se stessi. I no sono forse il sale della vita? E’ amaro, ma dà sapore.
tuo Tullio.
Tratto da “I tempi della famiglia. Giornale di bordo per una navigazione competente”
ediz. Ancora, Milano 1996, pp. 2-3

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