lunedì 23 marzo 2009

FIGLI E AMICIZIA

Aristotele affermava: “L’Amicizia è un frutto che matura lentamente”.

I genitori possono fare molto per aiutare i figli “a entrare in società” a diventare persone capaci di relazioni costruttive e soddisfacenti con gli altri.

Le relazioni con i coetanei sono fondamentali per lo sviluppo armonico della personalità. Aiutare i figli a coltivarle fin da piccolissimi, passo dopo passo significa insegnare a comporre il puzzle della loro identità e fornire gli strumenti sociali indispensabili per tutte le forme di “convivenza” futura…. Avere un coetaneo accanto aumenta la fiducia in sé, indirizza verso l’autonomia e attutisce lo stress nei momenti delicati. Solo a partire dalla preadolescenza si aggiungono la lealtà e l’impegno.
Avere un amico come spalla su cui piangere, come orecchio pronto ad ascoltare, segna l’inizio di una nuova autonomia rispetto ai genitori. Permette di esorcizzare paure e timori che gli adulti faticano a capire. Tutte le amicizie fanno crescere, anche quelle in cui il bambino rifiuta o si sente rifiutato. I genitori devono lasciare la libertà di scelta ai figli, ma devono assolutamente mantenere un controllo autorevole. Devono restare al fianco dei figli anche se in modo progressivamente più discreto e senza intromissioni troppo visibili. Il primo modo, come sempre, è l’esempio. In famiglia si impara il “metro” con cui misurare il resto del mondo.
I genitori devono conoscere e valutare con la massima attenzione l’atmosfera che regna nell’ambiente extrafamiliare: a scuola, nel paese, nel quartiere, nell’oratorio. Sono la palestra in cui quotidianamente si esercitano i loro figli. Spesso le amicizie sono strade in salita e i genitori devono affrontare insieme ai figli le piccole e grandi difficoltà nelle relazioni. Con coraggio, decisione e senso della realtà. Senza minimizzare e senza faciloneria. Le sofferenze dei piccoli sono sempre crudelmente sottovalutate dagli adulti.
Se un figlio fa fatica a fare amicizia, non gettatelo “nella mischia” ma accettate la sua timidezza. Invitate in casa, i suoi compagni per qualche festa e rimanete con lui. La vostra presenza, purchè silenziosa, lo rassicurerà e lo spingerà ad aprirsi. Se il bambino è isolato o maltrattato è necessario fargli acquisire un’abilità che gli altri bambini ammirano. D’altronde, possedere qualche competenza o riuscire in qualcosa dà un senso di orgoglio e produce un’autostima sufficiente a tollerare poi eventuali difficoltà nei rapporti con gli altri.
Avvicinare altre persone significa anche correre il rischio di essere criticati e rifiutati; un ragazzo o una ragazza sufficientemente sicuro di sé affronta questo rischio. Se è rifiutato dai compagni esaminate la situazione con vostro figlio, tenendo conto anche delle motivazione che spingono gli altri ad adottare un atteggiamento di rifiuto o di scherno. Mettete in atto i rimedi necessari. Spiegare anche che nella vita non si può piacere a tutti, né essere sempre vincenti.
Se un figlio subisce senza reagire, alzate le antenne e cercate di capire i segnali, verbali e non, tipici del “bullismo”, come il desiderio di non andare più a scuola, la chiusura in se stessi, il rifiuto di parlare di problemi, i brutti voti, i pianti nel cuore della notte…. Non esitate e siate diretti: “Penso che qualcuno ti stia facendo del male, che sia prepotente con te, parliamone”. Dite a vostro figlio che siete pronti ad ascoltarlo quando lo vorrà.
E’ importante non lasciare che i figli vivano le loro amicizie come qualcosa di esclusivo, che non deve essere riservato nella comunicazione ordinaria della famiglia. Quando i ragazzi scelgono la strada del silenzio in casa, quando evitano di far conoscere i loro amici, è un cattivo segno: o ritengono che i grandi non sono in grado di capire i loro sentimenti e il loro vissuto (e bisognerebbe chiedersi perché sono arrivati a questa conclusione); oppure pensano che i coetanei non sono presentabili (e allora dovrebbero interrogarsi sulle scelte che fanno quotidianamente). Qualche volta si può trattare anche solo di pudore e allora tocca a loro fare il primo passo, con delicatezza e descrizione affinché non ci giudichino invadenti. Ma dobbiamo anche far capire che le loro esperienze di amicizia ci riguardano in quanto palestra della loro crescita.
Abbiamo il diritto e il dovere di chiedere ai nostri figli alcune cose precise: l’attenzione a mantenere sempre vivo il senso della responsabilità individuale, perché non si nascondano nel conformismo di gruppo; la capacità di custodire la loro autonomia di pensiero, di valutazione e di azione, affinché l’amicizia non sviluppi forme di dipendenza affettiva; la voglia di accrescere la disponibilità al confronto, in modo da non vivere le relazioni interpersonali in modo stagnante; il gusto di allargare progressivamente la cerchia delle conoscenze, così da superare la logica ghettizzante che talora pervade i gruppi giovanili; la disponibilità di transitare pian piano dalla logica dello “stare con” a quella dell’”essere per”.
Tutto questo significa, sostanzialmente, che dobbiamo sempre ricordare ai nostri ragazzi che bisogna rimanere se stessi anche nello scambio affettivo, perché la fedeltà alla propria identità non può essere svenduta per avere in cambio la sensazione di sentirsi accettati dai coetanei. E’ una verità, questa, che rimanda a un’altra verità: se non si è esigenti, non si costruisce mai un’autentica qualità della vita.

Estratti dagli articoli di Bruno Ferrero “Gli amici fanno crescere” e Marianna Pacucci “Risorsa amicizia” su Bollettino Salesiano ottobre 2008

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