Prima o poi bisognerà ripartire. Da un punto che i mercati non hanno ancora trovato e che, vista la velocità drammatica della discesa, non dovrebbe essere troppo lontano. Scivolando sulle pendici ripidissime della montagna che fu incantata, si può cercare un po’ di coraggio e pensare al dopo. Il Mibtel di Piazza Affari sulla vetta del 12 marzo 2003 valeva 34.365 punti, venerdì è precipitato a 15.438, a un passo dai minimi del 2003. Il Dow Jones, l’indice storico di Wall Street, invece è già finito sotto 9.000, il pavimento dell’ultima crisi (giugno 2003). In queste due pagine, sfidando qualsiasi ordine di pessimismo cosmico, CorrierEconomia ha cercato di mettersi nei panni di futuribili investitori con profili di rischio molto diversi. Ricette di buon senso che contemplano l’unica ipotesi che oggi sembra praticabile — quella della liquidità e del reddito fisso — ma anche idee decisamente più aggressive, che osano in Borsa con il 50-60% del totale.
Follia? Scartando l’ipotesi della fine del mondo, no. E’ ovvio infatti che una simile bufera scoraggia anche chi si destreggia con le azioni da sempre, ma è anche vero che gli affari si fanno proprio in fondo al burrone. Quando si possono comprare azioni buone a saldi impensabili, a patto di star fermi poi per due o tre anni.
Ma quanto avrebbero reso i portafogli «ragionevoli» fotografati in queste pagine? Chi ne avesse ancora in tasca di simili avrebbe guadagnato da gennaio poco più del 2% nel caso del mix per prudente, mentre avrebbe perso, sempre da inizio anno, tra il 18 e il 20% con le due ricette più rischiose, quelle dove la Borsa spunta dal giardinetto titoli o da una rosa di fondi comuni che investono in tutti i listini del mondo. In mezzo il pareggio del «ben diversificato» che non ha guadagnato nulla (+0,34%) ma non ha nemmeno perso e la perdita accettabile del terzo mix, che è in rosso del 5%. Considerando che Piazza Affari da inizio anno ha perso più del 40%, l’aggettivo accettabile non sembra esagerato.
Certo non sono numeri meravigliosi. Ma mostrano, se ancora ce n’è bisogno, che la diversificazione paga. E che il collasso delle Borse avrebbe inciso con forza relativa sulle tasche degli investitori che avevano distribuito i loro averi tra vari asset. Che cosa aspettarsi adesso? Avendo già prima scartato l’ipotesi del Giudizio Finale, non resta che passare di nuovo in rassegna le poche certezze del momento. Le vendite si fermeranno quando i grandi attori del mercato avranno terminato di disinnescare la leva ai loro portafogli, vendendo tutti gli investimenti fatti a debito.
A quel punto tutti gli interventi messi in campo dai governi — il Fondo di salvataggio americano, le singole decisioni dei governi europei che hanno garantito banche e clienti, le massicce iniezioni di liquidità sui mercati, il taglio del costo del denaro — potranno avere effetti visibili. Sembra ormai inevitabile fare i conti con la recessione, cioè con una frenata dell’economia che sarà anche una diretta conseguenza della tremenda crisi di sfiducia che attanaglia le banche. Non a caso già ora i money manager si orientano sui titoli farmaceutici e su quelli dei consumi di base, oltre al petrolio. Mentre industriali e beni di lusso avranno più vita grama se il ciclo si ferma.
Intanto la fame di sicurezza ha trascinato al ribasso anche la remunerazione dei Bot, come è accaduto già da mesi negli Usa: il re dei titoli di Stato a tre mesi rende solo l’1,5% su base annua. I conti on line tornano competitivi. A patto di non superare il limite dei 103 mila euro coperti dalla garanzia.
Da newsletter www.corriete.it del 13.10.2008
Nessun commento:
Posta un commento